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In Sono donna che non c'è Suzana Glavas sogna il disperdersi del proprio corpo nel limpido volo senza intralci della poesia, pura inafferrabilità, aleatoria ed elusiva. E allora il dolore di un'ansia febbrile tramuta l'impossibile sogno delle parole in dolcezza evocativa. La poesia è suono, è musica, volo di ali, lirismo interrotto; è il frammento di Saffo e di Alcmane: canto silenzioso che colma la profondità, sostituisce al vuoto dell'abisso la calda pienezza della sostanza e, pur dandogli spessore e densità, lo trasporta in un mondo dove il sacro, senza la vaporizzazione vibratile dell'aggettivo, si rapprende e si distende di nome in nome, come sistole e diastole di un cuore che pulsa. Ed è un fatto che in alcuni tratti la poesia di Suzana Glavas comunica uno stato di illuminazione, di veggenza, una totalità dell'essere quasi mistica. È essa stessa Rivelazione, Parola. Questo bisogno di scorgere nella poesia il trascendente, che abitò e permeò di sé tutto lo spirito e il pensiero dell'Occidente, è la cifra di un desiderio di solitudine, di totalità, di verità e di amore che fa di lei un poeta senza tempo e senza Patria.